“Che errore le dà?” mi dice il tecnico della lavastoviglie.
“XYZ” rispondo.
“Ah… di solito è una perdita”.
Faccio finta di capire, mentre lui smonta il pannello laterale alla ricerca della causa del disastro.
Finalmente rompe gli indugi: “E’ un topo”.
“Come, scusi?”
“No, dico: è stato un topolino di campagna. Si è infilato dentro e ha rosicchiato tutto”.
Trasalisco. Guardo Annibale, che mi guarda a sua volta. Leggo nel suo unico occhio funzionante un’aria colpevole. Sospiro.
Annibale dovrebbe essere un gatto, ma lo è pressappoco. È stato assunto dalla famiglia due anni fa per due nobili motivi: faceva pietà e doveva scovare un topolino che si stava divorando la cucina come il Nulla de La Storia Infinita. Ma soprattutto faceva pietà: da capo a inizio coda erano sì e no 20 centimetri di pulci e malattie congenite incurabili, tra cui l’occhio guercio. Il simbolo della resilienza. In ogni caso, quell’aria da sopravvissuto per sbaglio, da uno che ha visto l’Ade e ha chiacchierato con Persefone gli è rimasta sempre. È stato chiamato Annibale per la sua guercità e perché grandi imprese si attendevano da lui, Gatto del Destino.
E infatti, appena assunto sbaragliò l’avversario senza far prigionieri. Di topi, singoli o in legioni, non se ne videro più. Annibale divenne il padrone della cucina e cadde, come il suo illustre predecessore, nella velenosa morsa degli agi. Me lo vedo ancora steso sul triclinio a sorbire crocchette una ad una, come chicchi d’uva maturi, circondato da cortigiane e nettare degli dèi.
“Vede, quaggiù ci sono i coriandoli” dice il tecnico.
“Come, scusi?”
“No, dico: il topo ha rosicchiato i fili elettrici colorati e ne ha fatto coriandoli”.
Ri-trasalisco. Riguardo Annibale: non solo il Quinto Fabio Massimo dei roditori ha sgretolato la lavastoviglie, ma ha anche festeggiato come a carnevale.
Il Fato lo sconvolge, lo vedo in quel suo occhietto lacrimevole. Fa ancora pietà, povero il mio generale punico, distratto dalle gozzoviglie e dal successo, sicuro di sé al punto da abbandonare la pugna per darsi alla pugnetta, come si dice qua. La compassione mi avvolge nel suo manto di tristezza. Quale infame destino il nostro di esseri viventi! Oh, quale inutile susseguirsi di eventi è la vita! Ah dèi del cielo!
Durante il tragico e silenzioso dialogo tra me e il punico,
il tecnico rimuove l’elettrodomestico, la carica sul furgone e torna in cucina. Mi è davanti, calvo con un cespuglio di ricrescita laterale, ha lo sguardo severo.
“Carthago delenda est” mi dice.
“Come scusi?
Sospira, paziente: “No, dico: per la chiamata fanno 50 euro. Paga in contanti?”