118
Avevo l’ansia quel primo giorno che iniziai a fare questo lavoro.
Spaventato come pochi per questa realtà nuova e sconosciuta che avevo visto solo dall’esterno, come un ricordo di un bambino, affascinato dalle lucette blu e dalla sirena.
Ma non avrei mai pensato o immaginato che un bel giorno, così dal nulla, avrei fatto parte di quel mondo, far parte di quelle persone che vengono chiamate Eroi nascosti, perché così veniamo chiamati noi del 118
Pensavo fra me e me :
“Sarò in grado di fare questo mestiere?”
“Ce la farò a sopportare tanto dolore?”
E più volte mi fermavo a fare queste riflessioni, lì solo nella mia stanza a fissare il soffitto. Ma dentro di me sentivo che la risposta era sempre la stessa.. “Ce la farò”
Ho visto più e più volte il confine sottile che c’è fra la vita e la morte, e quella sensazione di inutilità mi pervadeva. Pensavo e speravo che ogni volta potessi salvare qualcuno, che fosse facile, ma non è sempre così.. Purtroppo No.
Però ogni volta, stringendo i denti e rimboccandomi le maniche, giorno dopo giorno ho iniziato ad amare il mio lavoro e ad non averne più paura. Grazie alla mia infermiera in primis e a tutti i colleghi che ormai sono la mia seconda famiglia, ho imparato ciò che oggi so, ho imparato quanto sia bello aiutare. Ho capito che dovevo sempre e comunque fare del mio meglio, che comunque sia, anche se la vita è ingiusta, va accettata per ciò che è.
Sento che è bello aiutare qualcuno, è la cosa più bella di questo mondo ormai così cinico e insensibile.
Quando ci chiama la Centrale, noi corriamo e ci mettiamo l’anima, la passione e l’umanità in ogni soccorso, che possa esse un abuso alcolico, un semplice malore, un attacco di panico, o cose più gravi e importanti.
Noi corriamo senza pause, a volte con la pioggia, a volte con il freddo; non ci fermiamo nemmeno agli insulti alle grida.
Noi non ci fermiamo mai.
È brutto e fa male, quando arriviamo in ritardo perché c’è traffico, o perché la chiamata è arrivata tardi, arrivare e non poter far nulla. È brutto tornare a casa sentosi addosso i sensi di colpa, sentirsi così tristi e amareggiati.
Ed è brutto ricordarsi i volti delle persone che ti guardano speranzose, aspettando e sperando che tu possa fare qualcosa.
Quei volti impressi nella mente, li rimarranno e non li dimenticherò mai.
Ma c’è anche del bello, vedere i sorrisi di chi vedendoti si sente tranquillo/a, di chi non ha più paura,di chi ti dice GRAZIE, di chi ti abbraccia.
Come una volta, che salvammo un uomo che aveva un infarto in corso. Lo portammo di corsa in ospedale, quella corsa contro il tempo non la dimenticherò mai, era spaventato, parlava dei suoi cari in modo così confuso. Io che lo tranquillizzavo dicendogli che sarebbe andato tutto bene, perché ci stavamo noi. E ce l’abbiamo fatta, siamo riusciti a salvarlo, arrivando in tempo.
Qualche tempo dopo lo rincontrammo e appena ci vide, con le lacrime agli occhi, ci guardò e ci disse :
“Voi mi avete salvato la vita, non smetterò mai di ringraziarvi abbastanza per ciò che avete fatto per me. Perché se oggi posso ancora abbracciare la mia famiglia, è solo grazie a voi.”
Questo è il mio lavoro, un mix di emozioni uniche che nel bene o nel male, ogni giorno, mi fa provare.